Sta maturando grande interesse l’esperimento di Buick, che negli Stati Uniti concede all’interno delle proprie concessionarie la possibilità di effettuare un test drive super lungo, della durata di 24 ore. La campagna “24 Hours of Happiness”, creata dal “fratello minore” del brand di lusso di GM (Cadillac), sarà attiva in un migliaio di punti vendita dislocati negli Stati Uniti, con lo scopo di creare curiosità e consolidare l’immagine del brand a lungo termine, soprattutto sui clienti più giovani, che invece tendono ancora a considerare le Buick come le auto dei propri genitori o dei propri nonni.
A spiegarlo in maniera piuttosto chiara è stata Molly Peck, direttore marketing del marchio americano, sostenendo altresì come l’iniziativa non abbia affatto alcuna data di scadenza, e che ha come unico scopo quello di proporre ai consumatori una nuova esperienza di utilizzo che possa andare oltre il semplice test drive della durata di circa 30 minuti. In questo modo, prosegue il direttore, la Buick potrà farsi apprezzare più lungamente nelle occasioni di tempo libero e negli appuntamenti.
L’idea è abbastanza nuova non tanto nella natura dell’iniziativa, quanto nelle sue caratteristiche più specifiche. Di fatto, non ci sono vincoli, considerando che per poterne usufruire è sufficiente avere una patenta valida, 21 anni di età e una carta di credito. Successivamente, si potrà provare una Buick per 24 ore.
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Guai comunque a pensare che l’iniziativa sia particolarmente ardita. Secondo quanto afferma un recente studio condotto da AutoTrader.com, ad esempio, l’88% dei potenziali acquirenti auto avrebbe affermato che non comprerebbe mai un veicolo senza prima averlo provato. La maggior parte ha inoltre espresso il desiderio di poter disporre di più comodità e di minori pressioni durante il test drive. Tutto ciò che, in sintesi, sta cercando di fare General Motors attraverso questo nuovo esperimento che, se produrrà i risultati sperati, potrebbe essere esteso anche ad altri brand della stessa famiglia auto.
Che ne pensate? Trovereste utile l’allargamento di una simile strategia anche ai concessionari italiani?