Donald Trump sta per insediarsi ufficialmente come nuovo presidente degli Stati Uniti d’America (entrerà in funzione il 20 gennaio), ma le sue polemiche non hanno mai terminato di essere presenti nelle principali pagine dei quotidiani statunitensi. Non certo ultima, quella nei confronti di alcune case automobilistiche “ree” di delocalizzare in giro per il mondo – e soprattutto in Messico – i loro investimenti e i loro impianti.
E così, Trump non ha certo avuto timidezza nel fare nomi (e cognomi) delle società auto incriminate, minacciando – senza molti giri di parole – che se i produttori di auto continueranno a costruire auto in Messico per poi venderle negli Stati Uniti, verranno tassati con dei dazi doganali.
A ben vedere, forse queste minacce sono già servite a qualcosa. È di qualche giorno fa la notizia secondo cui Ford avrebbe scelto di investire nuovamente negli Stati Un,etteiti (in un impianto del Michigan), annullando invece gli investimenti previsti in Messico.
Il tema è comunque molto più ampio di quello sopra descritto, e riguarda almeno una ventina di case automobilistiche sparse per tutto il territorio messicano. Negli anni Novanta c’è stata una vera e propria espansione industriale al di sotto dei confini meridionali a stelle e strisce, tanto che secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, sarebbero stati impiegati in Messico più di 20 miliardi di dollari.
A domandarsi il perchè, la risposta è ben semplice: se un operaio americano guadagna in media 24 dollari l’ora, il suo collega messicano ne prende meno di 4. Per questo motivo ogni anno in Messico si producono quasi 50 modelli e 3 milioni di auto, che nel 90 per cento dei casi prendono la strada del mercato nordamericano…