Mitsubishi ha dovuto ammettere di aver manipolato i dati dei test sulle emissioni di oltre 600 mila auto. Una notizia che ha provocato particolare scalpore in Giappone – e non solo – e che richiama troppo velocemente alla mente quanto è accaduto in casa Volkswagen, la compagnia auto tedesca che qualche mese fa è stata coinvolta nel dieselgate, il grave scandalo sulle emissioni nocive e sui correlati test.
Sulla base di quanto avvenuto, il titolo della casa automobilistica giapponese ha perso il 15 per cento alla borsa di Tokyo, quando è stata annunciata la conferenza stampa sulle “condotte improprie nei test sull’efficienza dei consumi” tenuta dal presidente Tetsuro Aika.
In particolare, ha spiegato Aika, “abbiamo scoperto che sono state alterare le rilevazioni sui consumi di carburante rispetto ai dati reali. Abbiamo anche constatato che i test sulle modalità di risparmio carburante non erano in linea con le normative giapponesi. Offriamo ai nostri clienti e a tutti i soggetti interessati le più profonde scuse”.
Chi ha la memoria più lunga ricorderà che lo scandalo sulle falsificazioni sui test delle emissioni è stato avviato lo scorso anno dagli Stati Uniti, quando venne scoperto quel che è stato poi ribattezzato come “dieselgate”, a riferimento dei modelli diesel della Volkswagen. Anche all’epoca la casa automobilistica tedesca dovette ammettere quanto accaduto, prendendo opportuni provvedimenti per evitare danni ancora più gravi all’immagine e ai risultati commerciali. La casa auto giapponese ha realizzato lo stesso comportamento, con una serie di dichiarazioni che giungono all’interno di una vera e propria settimana da incubo: appena qualche giorno fa, negli Stati Uniti, la Mitsubishi ha infatti dovuto raggiungere un accordo economico, fissato a 84,5 milioni di dollari, con un gruppo di clienti indiretti che avevano intentato un class action.