Il turbocompressore è una componente del motore che molti anni fa veniva montata solo su automobili con motorizzazioni di grandi cilindrate, mentre oggi lo si può trovare anche su motori 1.0 e addirittura su motori a tre cilindri.
Questo elemento, definito comunemente “turbo”, consente un aumento di potenza, spinta del motore in fase di accelerazione e avviamento, riducendo così di conseguenza anche i consumi di carburante ed emissioni di CO2.
Per i meno esperti del settore può essere complicato comprendere il funzionamento del turbocompressore, per questo motivo in questo articolo andremo a vedere cos’è e come funziona, quali sono le due tipologie di turbo che troviamo equipaggiate sui motori termici attualmente in commercio e le loro differenze.
Come funziona il turbocompressore
Il funzionamento del turbo è piuttosto macchinoso, nella pratica i gas che vengono prodotti nella camera di combustione sono convogliati verso la turbina che con il suo movimento rotatorio trasmette energia al compressore, prende l’aria prodotta e la comprime incrementando la pressione.
L’aria compressa viene a sua volta inviata all’intercooler che provvede a distribuirla all’interno dei condotti di aspirazione, portando al risultato finale che è un incremento di aria compressa verso le camere in cui avviene la combustione.
Tutta questa operazione di compressione che raggiunge i cilindri del motore genera una maggior coppia espressa in Nm e di conseguenza un incremento di CV e quindi di potenza.
Andiamo ora ad analizzare e capire meglio alcune delle principali tipologie di turbocompressori utilizzati sui motori più comuni in commercio.
Turbocompressore a geometria variabile
Questa tipologia di turbo nasce per evitare il turbolag, ovvero quella sensazione che il conducente avverte nel premere l’acceleratore, che possiamo definire come il ritardo tra la pressione del pedale e la risposta del motore.
Proprio per sopperire a questa sensazione è stato realizzato il turbocompressore a geometria variabile, il quale si distingue dalla geometria fissa per una chiocciola che viene aperta da una serie di alette mobili e permette il movimento simultaneo di tutta la struttura.
Le alette restano chiuse così che i gas possano spingere l’accelerazione molto rapidamente e indurla verso la turbina: man mano che i giri del motore aumentano, si assiste ad una maggiore dilatazione delle alette che si aprono per ridurre la pressione contraria ed evitare che il motore raggiunga giri troppo alti (potenzialmente dannosi per il veicolo e il motore stesso).
La gestione di queste alette è gestita da una valvola di depressione chiamata westgate, la quale è posizionata sul condotto di immissione, tuttavia, negli ultimi anni è spesso sostituita da un’alternativa a centralina elettronica che gestisce il movimento di apertura e chiusura.
Turbocompressore elettrico
Se il funzionamento della geometria variabile può essere considerato piuttosto macchinoso da comprendere e può rappresentare un problema per il motore in termini di stress e potenziali danni che potrebbe provocare a causa dei giri troppo alti, come alternativa è stato prodotta una versione più moderna ed elettrica.
Il turbo elettronico non basa il suo funzionamento sui gas di scarico da comprimere ma funziona tramite un motore elettrico in grado di generare energia per comprimere l’aria evitando di stressare il motore, eliminando quindi tutti quei processi macchinosi descritti nel paragrafo precedente.
Questo tipo di turbo è attualmente equipaggiato su auto di fascia alta e sui motori più performanti, anche se alcuni costruttori come Audi stanno sviluppando soluzioni elettroniche per ridurre se non annullare il turbolag collegando la turbina ad un motore elettrico che viene alimentato da una batteria.
Questi sviluppi nascono dall’esigenza di dotare anche le auto più commerciali, piccoline o più comunemente conosciute come “city car”, di un turbocompressore più moderno, sostenibile ed efficiente.